Book review: What keeps the stars alight. Stories of italians that never quitted believing in the future.

Marco Calabresi, direttore de “La Stampa”, pare un tipo simpaticamente tosto. Ha fatto un bel po’ di gavetta non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti dove sembra aver assimilato lo spirito di frontiera dalle esperienze di successo di molte storie individuali e collettive. Il suo libro precedente a questo, “La fortuna non esiste. Storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di realizzarsi” ne è una chiara testimonianza: narra le storie di successo di molti che negli USA, partendo dal niente, sono riusciti a realizzare i loro sogni con visione, dedizione, sforzo e sacrificio e appunto... mettendo da parte il fattore fortuna. 


Avendo vissuto io stesso per molti anni negli USA e avendo anche io assimilato l’energia contagiosa di questa positiva caratteristica culturale, credo di aver intuito lo spirito con quale Calabresi ha scritto questo libro sul contesto italiano. Lui stesso afferma che lo stimolo è partito dal triste e stagnante senso di rassegnazione di molte delle ‘lettere al Direttore’ che lui riceve quotidianamente. E’ possibile che in Italia ci dobbiamo semplicemente rassegnare? E’ possibile che da noi non si possa sviluppare un nuovo spirito di frontiera per gestire i contesti difficili di oggi? Non dimentichiamoci che il vero spirito di frontiera statunitense si e’ si è sempre sviluppato in situazioni difficili, di pura esplorazione (i film di cow-boy alla conquista del west sono i primi a venire in mente) in cui ci si confrontava quotidianamente con incertezze, complessità e avversità. Incertezze e avversità molto più aspre del quotidiano di molti di noi italiani che comunque sembriamo affogare nella rassegnazione di tanti se, ma e pero’.


Calabresi ha intervistato personaggi e professionisti appartenenti a vari contesti culturali, sociali, scientifici e imprenditoriali; tutti con idee molto chiare su questi temi di sviluppo e rivalsa sociale. I titoli di alcuni capitoli sono di per se emblematici dei messaggi che Calabresi ha raccolto e cerca di diffondere: “Perché abbiamo bisogno di un sogno” (lo strumento più concreto e potente di fronte a dubbi, incertezze e complessità); “Il futuro che c’é” (contribuire a creare la propria realtà in modo costruttivo e positivo. Sempre e comunque); “Non si può fare” (il vincolo mentale che sembra sempre più caratterizzare il nostro parlare e la nostra cultura); “Cosa tiene accese le stelle” (riflette Calabresi “... per me le stelle si sono accese per guidare il cammino degli uomini, la loro fantasia, i loro sogni, per insegnarci a non tenere la testa bassa, nemmeno quando è buio”).


“... non tenere la testa bassa nemmeno quando è buio ...” - Alla ricerca dello spazio mentale perduto


Il buio caratterizza molte delle ‘lettere al Direttore’ che riceve Calabresi; il buio del presente e del futuro. Un buio che dobbiamo vincere tornando appunto a tenere a testa alta, contando soprattuto su noi stessi e rendendoci conto che, non importa quale sia il contesto, possiamo trovare uno sbocco positivo allo stagnante immobilismo. Sul tema, emerge chiaro un concetto dall’intervista con il sociologo Giuseppe De Rita, Presidente e Fondatore del Censis; scrive Calabresi: “Oggi ciò che manca di più agli italiani è lo spazio. Uno spazio fisico ma anche mentale, che significa possibilità, futuro e speranze... Oggi non sentiamo più lo spazio delle possibilità” e ancora: “De Rita reputa che oggi i giovani si sentano soli, orfani di spazi collettivi, di visioni comuni del futuro della nostra società”. La presenza di spazio mentale per sogni da realizzare è ciò che ha generato un marcato senso collettiva forza produttiva che ha alimentato la spinta propulsiva del Paese durata quarant’anni, dal 1950 al 1990, stimolando un senso di forte motivazione individuale al migliorarsi. Secondo De Rita queste dinamiche hanno comunque aspetti di ciclicità: “Siamo entrati in una fase in cui il ciclo dell’individualismo estremo si sta esaurendo, per cui avremo qualche anno senza nuove spinte ma anche senza passi indietro.” Di fatto dal libro emerge come, nonostante tutto, abbiamo fatto e stiamo facendo ancora notevoli passi avanti rispetto al passato nel contesto sociale e scientifico; spesso ci facciamo travolgere dalle negatività del quotidiano e questo ci fa perdere questo senso di progressione e quell’indispensabile senso di forza e possibilità che tutti noi possiamo avere e sviluppare. Anche il presidente di un istituto di ricerca internazionale, Juan Carlos Martin, ribadisce a Calabresi l’importanza del concetto di spazio e sottolinea un aspetto di atteggiamento fondamentalmente diverso fra la cultura americana e quella italiana: “Il concetto di spazio è fondamentale per capire i problemi dell’Italia di oggi. Negli Stati Uniti tutto è più largo e mobile: prima della crisi, ogni anno una persona su sette cambiava luogo di lavoro; la loro è una società più vasta e con più opportunità, quindi con meno invidia. Qui, invece, quelli che hai intorno a te, i colleghi o anche gli amici, te li tieni per tutta la vita, così sei costretto a tenerne continuamente conto, e questo ti frena e ti inibisce. L’atteggiamento peggiore è quello di guardare con sospetto chi cerca di emergere, chi ha idee e proposte nuove. E’ questa l’altra grande differenza: la società americana ha un pregiudizio favorevole per il nuovo, mentre da noi c’è un pregiudizio negativo. Il messaggio che passa è che sia meglio stare tutti nel fango piuttosto che lasciare uscir fuori qualcuno.” Sono affermazioni taglienti e precise, sicuramente opinabili, ma che certamente fanno riflettere su temi chiave. Ci sono tante cose che possiamo criticare rispetto alla cultura americana; al tempo stesso certi atteggiamenti culturali possono contenere semi utilissimi a dare di nuovo energia e dinamismo anche nel nostro sistema sociale ed economico. Calabresi ci stimola alla tenacia e al metodo (aspetti tipici dello spirito di frontiera): “Darsi una disciplina esistenziale, fissare dei traguardi e poi mettersi in marcia senza vittimismi, perché i ‘se’ sono la patente dei falliti, mentre nella vita si diventa grandi ‘nonostante’ “.


Il presente e futuro che creiamo


Tutto il ragionamento parte appunto dal liberarsi di sterili vittimismi concentrandosi sul creare la propria esistenza; questo senso le difficoltà, incertezze e complessità del presente hanno in se il seme dell’opportunità: è questione di punti di vista e di agire seguendo veramente nuove idee e nuove strade. Afferma un altro degli intervistati, Lorenzo Cherubini: “Non possiamo pensare di ripercorrere sempre strade conosciute e sicure. Quando ho cominciato a lavorare in radio, Claudio Cecchetto mi tormentava: ‘Se tu fai quello che vuole la gente, allora sarai sempre uguale, perché il pubblico istintivamente vorrebbe sentire quello che già conosce e che gli piace in quel momento, invece devi inventare, proporre cose nuove e vedrai che i gusti delle persone cambieranno e ti seguiranno”. Sperimentare, costruire, mettersi in discussione su nuovi orizzonti. Sembrano parole fatte, retoriche, piene di energia ma vuote all’atto pratico. Ebbene se appunto le sentiamo vuote è per i condizionamenti culturali e individuali di cui non riusciamo a liberarci. Cherubini stesso ricorda una frase, già cult, pronunciata dal Rettore di Harvard nel film ‘The Social Network’ (che narra della nascita di Facebook): “I migliori allievi di questa università non sono quelli che escono e trovano un lavoro, ma quelli che escono e si inventano un lavoro”. Oggi inventarsi un lavoro può sembrare difficile o addirittura impossibile non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti; al tempo stesso è proprio dall’Italia che sono partite in anni recenti, praticamente dal niente, idee si sono sviluppate con successo. Ad esempio quella della catena di gelaterie Grom. Scrive Calabresi “Federico Grom e Guido Marinetti si sono inventati gelatai, cosa che potrebbe sembrare la scoperta dell’acqua calda in un Paese in cui c’è una gelateria a ogni angolo, ma l’idea non doveva essere tanto scontata se in otto anni sono diventati la più grande catena d’Europa.” Su cosa si basa quest’idea? Su un principio chiave alla base di tutto il progetto: “OSSESSIONE ECCELLENZA”. Un principio tradotto in aspetti molto pratici che hanno distinto da subito il progetto imprenditoriale creandone la sua unicità e consentendone la sua espansione: “Sono davvero ossessionati dall’idea della qualità, di rispettare le regole che si sono dati, i loro standard e il loro stile, tanto che controllano personalmente tutti i loro negozi, diventati ormai 55”. Ancora una volta metodo e tenacia dello spirito di frontiera sono in azione... Ciò che fa la differenza è costruirsi una propria identità in senso positivo e costruttivo; sono queste le dinamiche della spinta sociale collettiva che possiamo tornare a riaccendere anche in Italia trovando modo di marginalizzare, con creatività e progettualità vere (vincendo tante barriere e pregiudizi mentali che nemmeno ci rendiamo conto di avere) gli insidiosissimi e numerosi ‘nonostante’.


Calabresi in questo libro incontra molti personaggi interessanti che, a mio parere, ci invitano a riflettere su tre aspetti chiave: 1) se analizziamo bene il presente dobbiamo apprezzare il progresso sociale e scientifico che ci ha portato fin qui sotto vari punti di vista e che continua comunque a darci opportunità di miglioramento, se vogliamo e sappiamo cercarle; 2) dobbiamo tener ben presente il fattore ‘spazio mentale’ cercando sempre e comunque di incrementarlo: dando vita a idee, sogni e opportunità che di fatto ci consentono di costruire con dinamicità il nostro presente e futuro; 3) dobbiamo vincere l’atteggiamento vittimistico e concentrarci con metodo e tenacia su quanto e’ da fare per confrontarci con incertezze e complessità; di fatto questo è sempre stato e sarà sempre parte integrante del vivere, ne rappresenta infatti lo stimolo fondamentale: uno stimolo al confronto vero con la vita, rispetto al quale sta a noi scegliere (attraverso una salda consapevolezza della realtà basata su più punti di vista e prospettive) se divenirne attivi e propositivi protagonisti o esserne passivamente travolti.